Weak Tie

Copia incolla che conta

Posted in Razzismo by Lorenzo on 18/04/2009

Essendo ancora un contenuto a pagamento, ecco una buona riflessione per il fine settimana.

Trascrivo l’articolo pubblicato oggi sulla Repubblica, col titolo: “La nuova violenza a sangue freddo”.

Mettiamo che io sia un italiano –non proprio io, un io tipico- e mi chieda se la violenza di cui le cronache ribollono sia un fatto nuovo. Un’altra di quelle cose nuove che inducono non solo a dubitare del progresso, ma a paventare una degradazione della vita comune. Ho detto la violenza, ma non è esatto: il passato ne è intriso, e il Novecento vi sprofondò. E’ piuttosto la violenza privata, e la sua efferatezza. Ci sono agguati e omicidi, nelle nostre ultime notizie, di cui non colpisce tanto il fatto –lo stupro, o l’ammazzamento- quanto le modalità. Un investimento di ferocia del tutto sproporzionato al suo fine apparente: rapinare denaro o roba o piacere sessuale. Una violenza che prende la mano. Parole non ne abbiamo, adeguate. Sì, diciamo “bestiale”, diciamo “selvaggiamente infierito” –ma restiamo al di qua del fatto. Gli anatomopatologi sanno di che cosa si tratti. Si fa presto a ricordare esempi raccapriccianti di quando eravamo una società contadina e le notti erano fitte di lucciole o di quando facevamo miracoli economici. Arancia meccanica –che cantava l’ “amata ultraviolenza”- è del 1971, e a lungo le pagine di nera risolvevano così i titoli. L’ho risentito ieri, per un’irruzione di quattro farabutti, “probabilmente dell’Europa dell’est”, che hanno malmenato due anziani coniugi, che si sono finti morti, e lasciato in fin di vita il figlio: “Arancia meccanica nel torinese”. Tuttavia, se fossi quel tipico italiano, nessun precedente mi dissuaderebbe dal sentire che c’è un di più, una sfrenatezza, una svalutazione da bancarotta di tutti i valori. Perfino nel modo di travolgere la gente con l’auto. Prima c’era qualcuno che investiva qualcun altro. Ora ci sono degli efferati assassini: hanno cominciato a imputarli per omicidio volontario, benché la Cassazione ancora rilutti.

Se fossi quell’italiano, non potrei fare a meno di legare la mia costernazione al mondo che si è fatto così veloce e ravvicinato. Di pensare ai romeni. Quelli dello stupro del parco: ne avevano presi due, non erano loro, e li hanno liberati, ma ne hanno presi altri due, ed erano romeni anche quelli. Puoi sbagliare sugli individui, ma sulla nazionalità vai sicuro. O i tre che hanno massacrato a bastonate la coppia napoletana due giorni fa. Io so che non è un pregiudizio, il mio. Ho i dati. Non importa che siano esatti, la sostanza non può metterla in dubbio nessuno. I romeni delinquono più degli italiani, almeno dieci volte di più. Non sono esasperato solo dal numero di delitti, ma dal modo. C’è una brutalità che non posso ammettere se non come qualcosa che viene da fuori, da chissà quale passato atavico. I rapinatori di una volta badavano al bottino, la loro violenza era commisurata alla riuscita. Poi venne la droga e i balordi, stranieri intestini. Poi la droga e i romeni e i rom…

Mettiamo adesso –parliamo sempre di figure tipo- che io sia una donna romena. Parlo un italiano perfetto, come succede a noi donne romene, e sto attenta a giornali e telegiornali. Sui due del parco: avevano ammesso che si erano sbagliati, ma continuavano a tenerli dentro. E i quattro dell’Aquila? La donna aveva aperto la porta con le chiavi, autorizzata, per prendere le sue cose, non aveva toccato niente. I “quattro sciacalli romeni”: non occorreva nemmeno dire tutte e due le parole, erano sinonimi. Anch’io lavoro in una casa. Ci affidano quello che hanno di più caro, i vecchi, i bambini: come fanno a parlare così di noi? E negli ospedali. Quale bambino ricoverato, quale vecchio, non ha avuto un’infermiera romena? Mai che un telegiornale dicesse che in proporzione il numero più alto di molestie sessuali lo soffrono le badanti e le colf romene nelle case. Io mi vergogno ogni volta che sento di romeni che compiono cattive azioni. Così cattive che non riesco a capacitarmene, e mi dico che non sono veri romeni, o che non lo sono più, e che erano delinquenti già a casa, ma si imbestialiscono quando arrivano qua, chissà che cosa succede nelle loro teste. Io amo la Romania: ci si accorge di avere una patria quando, senza nessuna colpa personale, si prova vergogna per quello che altri fanno col nostro stesso nome. Ma non ho nemmeno letto mai un titolo di giornale italiano che dica: E’ DI ROMENI IL RECORD DI MORTI BIANCHE. Eppure è provato, e anche per gli incidenti sul lavoro, soprattutto nell’edilizia. E non si dice che noi siamo pagate il 40 per cento meno delle italiane, e che in Romania ci sono quasi 30 mila imprese italiane che sono andate lì per risparmiare sui salari. Ho letto la storia di 130 mila veneti e friulani che andarono emigrati in Romania fra la fine del 1800 e il 1948: operai, falegnami, muratori. Se interrogate gli italiani sulla Romania, la prima cosa che vi dicono è che é il paese dal quale si emigra. Mentre lo dicono, non si ricordano che l’Italia è stato il paese dal quale si emigrava. Bisogna pensare a che cambiamento è successo in meno di vent’anni: nel 1990 c’erano in Italia 8 mila romeni, oggi sono più di un milione!

Vi rendete conto –direi se fossi nei panni dell’italiano tipico- che nel 1990 c’erano in Italia 8 mila romeni, e oggi sono più di un milione? Non è una pazzia? Come è possibile sconvolgere in vent’anni una popolazione, eguagliandola a quelle di paesi come la Francia o la Gran Bretagna, che hanno impiegato secoli, e stentano anche loro? C’è da stupirsi se la feccia di paesi arretrati corre qui, attirata dai lustrini e dall’impunità, e finisce sotto i ponti, per sbucarne fuori a depredare borse e corpi? Che cosa può valere per costoro una vita umana, la vita delle loro prede, la loro stessa? La galera è una promozione, per loro. E anche gli altri, i regolari, fanno i muratori e intanto studiano la casa da svuotare, fanno le badanti e abbindolano i loro badati… E guardate come si scatenano dentro le nostre case, belve smaniose di torturare e saccheggiare.

La donna romena pensa che il problema ci sia, e sia grave. Soprattutto la discriminazione e la violenza sessuale, che ha conosciuto in patria e riconosce qua. Ma, a proposito del costo delle vite, è impressionata dalla dilapidazione nelle acque del Canale di Sicilia. Lei pensa che l’emigrazione sia composta, piuttosto che dalla popolazione media di un paese, da un campione misto dei migliori –quelli che vanno dove la vita è dolce, dove il talento è rimeritato- e dei peggiori –attirati dalla rapina. Sa che da certi paesi, dal Senegal, fra i migranti che arrivano c’è una percentuale di laureati superiore a quella dei coetanei italiani. Eppure non valgono niente, a volte nemmeno lo strappo in una rete da pesca (altre volte sì, il soccorso più generoso). E poi impara, la nostra giovane donna, che le più efferate violenze, quelle in cui non conta tanto l’esito –derubare, o uccidere- ma il modo, avvengono dentro le case, nelle famiglie. Come l’altra faccia, quella più rara, ma troppo frequente, della tenerezza e della protezione domestica. Padri, figli, madri, zii, vicini… Italiani. O nelle mafie che spadroneggiano, e che si chiamano a loro volta famiglie, e onorate. La ferocia nuova che lascia sbigottiti, può esplodere da questa intimità. Le badanti e le colf romene –e anche le loro connazionali che stanno sulla strada- hanno una conoscenza peculiare, a sua volta intima, di come sono gli italiani, e corrono anche loro il rischio di generalizzare, di dire “gli italiani”, come quelli dicono “i romeni”. La nostra donna pensa che gli italiani non possano fare a meno dei romeni, sa quanta fatica fanno e quanto pagano di tasse. Sa che la percentuale di reati fra gli immigrati “regolari” non supera quella dei cittadini italiani. E sa anche che pressoché tutti i “regolari” sono stati prima “irregolari”. Ancora una dozzina di anni fa era il turno degli albanesi, di battere i record di criminalità e di fare da spauracchio: e non se ne parla più. Spera nel tempo, ma ha anche paura del tempo.

Ci sono sondaggi sulla percezione reciproca fra italiani e romeni. Colpisce che le percentuali di diffidenza e simpatia siano pressoché equivalenti, e che mutino pressoché allo stesso modo. Il mutamento ora va in direzione dell’ostilità. Il tempo non sta lavorando per gli italiani, né per le romene.